venerdì 13 febbraio 2009

La vita

Tempo fa avevo un cane, il suo nome era Pallino, un meticcio molto dolce e affettuoso. Mi ha fatto compagnia per circa 7 anni, fino a quando non si è ammalato di lesmaniosi. Ero molto legata a lui, amavo i suoi occhi sempre attenti ad ogni minimo mio movimento; il suo continuo seguirmi; il piacere che provava quando l'accarezzavo.

Alla proposta del veterinario: "Se tu vuoi veramente bene a Pallino, devi evitare una volta per tutte che lui soffra", mi sono ritrovata con una grande decisione da prendere. Dovevo capire qual era la mia posizione nei confronti della vita.

La vita è un mistero, un evento non scontato e nemmeno casuale. Da adulti ci sentiamo partecipi del concepimento, ma in effetti non ogni rapporto da origine ad una vita e pur non riconoscendo il disegno divino, la vita con la sua complessità generativa rivela la sua grandezza.

Alla luce di quanto detto mi sono chiesta se avessi il diritto di decidere se interrompere la mia vita, quella di un mio caro o comunque di un essere che io amavo. Assolutamente non ho nessun diritto, perché è un mistero che si è originato indipendentemente dalla mia volontà e che cresce e si evolve verso mete ed obiettivi che io non potrò mai capire e prevedere.

Pallino è morto di morte naturale. Ma negli ultimi mesi la vicenda di Eluana mi hanno fatto riflettere ancora una volta sul concetto della vita. Penso che oggi il punto focale non sia tanto la persona di Eluana, quanto ll'affermazione del diritto di eutanasia esercitato dalla famiglia Englaro.

Si continua a leggere che Eluana è morta 17 anni fa, ma in realtà respira autonomamente ed è solo alimentata da un sondino. Come può essere? Se fosse morta, come potrebbero farla morire nuovamente?

Osservo molta ipocrisia e nessuna presa di posizione, soprattutto dalla famiglia, se volessero porre fine, come affermano, alle sofferenze di Eluana, allora perché arrecarle atroci sofferenze, togliendole il sostentamento alimentare quotidiano e poi somministrandole medicinali per alleviarle la sofferenza?

La morte arriva naturalmente, se lei ha vissuto per tutto questo tempo significa che ha energie e che, a suo modo, sta portando a termine l'obiettivo per cui le è stata donata la vita.

Il muro dell'intolleranza

Osservando il mondo che mi circonda avverto un irrimediabile cambiamento verso la negatività e l'intolleranza.Cambiamento che sembra avuto impulso iniziale a seguito della scomparsa di Papa Wojtyła.

La sua vita era stata imperniata nel dialogo interculturale, i popoli si incontravano con la chiara volontà di risolvere le incomprensioni. Il mondo, nel nome di Cristo, e per mezzo di un uomo illuminato, era proiettato alla pace e alla convivenza sociale, nel rispetto dei diritti dell’uomo.

Sono passati quasi 4 anni dalla sua morte e il suo operato, sembra che a tutti, ma soprattutto agli uomini di potere, sia rimasto solo un lontano ricordo. Non si ricorda l’intensa attività di mediazione e di confronto per l’abbattimento di barriere etniche e razziali come, ad esempio, la caduta del muro di Berlino nel 1989 o il dialogo con la chiesa ortodossa nel 2001.

A conferma di quanto detto c'è la testimonianza dei numerosi muri eretti negli ultimi 6 anni come soluzione dei conflitti etnico - sociali.

Alcuni esempi? Nel 2003 viene terminata la costruzione del muro tra la Palestina e Israele. Per gli israeliani era l’inizio della pace, ma non era così per i palestinesi, che si videro espropriati dei loro territori. Il futuro era scontato, sarebbe stato segnato da tensioni politiche e sociali.

Rimanendo in Italia, a Padova, nel 2006, venne eretto un muro per separare il ghetto dai quartieri della città. La motivazione per la sua costruzione fu che era possibile garantire meglio l’ordine pubblico e in qualche modo proteggere i quartieri della periferia della città. Ma la realtà era un’altra, vi era la chiara volontà di circoscrivere in uno spazio limitato tutti coloro che potessero essere un pericolo per gli abitanti della città.

Ogni giorno assisto a intolleranze sociali, culturali, etniche, politiche. Quella stessa intolleranza che ha permesso l’Olocausto. Sono passati pochi giorni dal ‘giorno della memoria’ e mi convinco sempre di più che sia diventata solo una data, un evento esterno lontano nello spazio e nel tempo.
Vorrei credere che la realtà non sia così e che qualcuno si stia operando per il dialogo e il confronto, se fosse vero il contrario significherebbe assistere impassibili a tante piccole Shoa. E con questa affermazione, penso all’indiano bruciato a Nettuno, alla protesta dei lavoratori inglesi nel North Lincolnshire contro gli italiani, ai diritti degli immigrati in ogni luogo del mondo, al diritto dei Palestinesi di vivere nei loro territori.